Massimiliano, Infermiere: “sicure che possiamo crescere se continuiamo a vivere una professione fin troppo manuale?”.
17 Gennaio 2023
Ci scrive Massimiliano Gentili, Infermiere: “sicure che possiamo crescere se continuiamo a vivere una professione fin troppo manuale?”.
Spett.le Direttore di Assocarenews.it,
sono Massimiliano Gentili infermiere. Volevo porre all’attenzione ancora una volta, la differenza del vecchio “infermiere professionale o professionista” (chiamato così per differenziarlo dall’infermiere generico, che svolgeva una mansione di supporto) antecedente al 1985, con l’attuale INFERMIERE (dottore, in quanto laureato) dei nostri tempi.
Molta strada è stata fatta, e molta ce ne sarà ancora da fare, molte le riforme che si sono succedute per dare vita all’attuale Infermiere (ancora in divenire), molte le battaglie vinte, ma nonostante ciò, ad oggi purtroppo, è visto ancora dalla opinione pubblica, grazie alla complicità di alcuni mass media che ancora ci definiscono/etichettano “paramedici”, o di film, serie TV che tendono a mostrarci ancora “tutto fare”, come “ANCILLARI DI ALTRE PROFESSIONI”, in primis quella medica.
Per chiarire, la figura del paramedico, oltre a non esistere in Italia, ma solo in America, Inghilterra, Australia e qualche altro Stato, riguarda prevalentemente “personale laico” ovvero non appartenente per forza al mondo della Sanità o universitario, ma istruiti da coloro che ne fanno parte, ovvero medici ed infermieri, mediante un corso che varia da 1 a 5 anni a secondo della mansione che andranno a svolgere, inoltre ha una accezione di subalternità al medico, cosa che vedremo in seguito risultare essere SBAGLIATA!
Già dal D.M. 739/1994 si inquadra l’infermiere non più come “professione ausiliaria”, ma come professione propria e peculiare con specifica identità, definendone il potenziale professionale, il livello di autonomia e di responsabilità. Grazie a questa legge l’infermiere diventa “un operatore sanitario”, perdendo di fatto, una volta per tutte, il ruolo di AUSILIARITÀ da altre professioni, consentendogli di entrare nella reale responsabilità del professionista nei confronti dei suoi utenti/pazienti.
Pertanto dal 1994 in poi, l’infermiere risponderà, quale professionista, direttamente delle sue azioni, sopportando l’onere delle conseguenze di natura civile, penale e disciplinare.
L’assistenza infermieristica di natura preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Una svolta epocale!
Di fatto l’infermiere:
- Partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività.
- Identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obbiettivi.
- Pianifica, gestisce valuta l’intervento assistenziale infermieristico.
- Garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche.
Su questo punto mi soffermo un attimo per spiegarlo in quanto ci sono alcuni che non
conoscono bene questo comma 3, o lo male interpretano. Ciò vuol dire che l’infermiere
mantiene compiti di collaborazione (NON DI SUBALTERNITÀ) con la funzione medica,
attribuendogli un ruolo di garanzia circa la corretta applicazione della prescrizione
diagnostico-terapeutica, assumendone la responsabilità della correttezza delle sue azioni,
integrandosi a pieno titolo nella équipe multidisciplinare.
A garanzia di ciò che afferma tale comma, cito un esempio molto esemplificativo, ma che rende bene l’idea: se nella prescrizione medica c’è scritto di somministrare ad un soggetto diabetico 20 UI di insulina rapida, ma nella rilevazione della glicemia il valore è pari a 50mg/dl (ipoglicemia), somministrandola cagionerei un nocumento o peggio, una sorte infausta al paziente.
Da qui si evince la RESPONSABILITÀ la GARANZIA e L’IMPORTANZA che assume
l’infermiere, nei confronti dell’utente, anche non somministrando la terapia (POTERE
DECISIONALE). Ciò vale per qualsiasi altro farmaco!
- Agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e
sociali (per concorrere al raggiungimento del risultato finale). - Per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di
supporto (OTA, AUSILIARI, OSS, ecc). Nell’attività individuale il rapporto di
SUBORDINAZIONE FUNZIONALE È DIRETTO, mentre nella attività organizzativa
della U.O. il rapporto è mediato dalla distribuzione delle responsabilità.
In ogni caso l’infermiere conserva la piena responsabilità del risultato assistenziale, mentre il collaboratore di supporto mantiene la responsabilità della correttezza delle azioni che
compie.
- Svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel
territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero professionale.
Purtroppo ancora oggi, nel 2023 abbiamo il VINCOLO DI ESCLUSIVITÀ che ci tiene
ancorati al luogo di lavoro SENZA UNA CONTROPARTITA ECONOMICA!
Per essere ancora più esaustivo facciamo un passo indietro. La legge dello Stato Italiano riconosce ufficialmente la professione infermieristica con il provvedimento riferito al d.l.C.P.S. del 13/09/1946, n.233 “Ricostruzione degli Ordini delle professioni sanitarie per la disciplina delle professioni stesse”.
Alcuni anni più tardi viene emanata la legge 29/10/1954, n. 1049 “Istituzione dei Collegi delle infermiere professionali, delle assistenti sanitarie, delle vigilatrici d’infanzia” (IPASVI).
Tale legge dichiara che in ogni provincia vengano costituiti i Collegi IPASVI. Si evidenzia chiaramente e inequivocabilmente, che con l’istituzione dei collegi IPASVI, la Legge dello Stato Italiano, ha implicitamente riconosciuto alla professione infermieristica le caratteristiche di una “PROFESSIONE INTELLETTUALE” per esercitare la quale è necessaria l’iscrizione agli appositi Albi (c.c. art. 2229).
È grazie al D.M. 509 del 3/11/1999 che il Diploma universitario viene riqualificato in diploma di laurea (chiamato anche laurea triennale). Con la legge n. 251 del 10/08/2000 si definiscono i titoli equipollenti al diploma di laurea come validi per l’accesso ai master infermieristici e ai corsi universitari per accedere alle funzioni di dirigenza infermieristica, ovvero la laurea specialistica.
È infine grazie all’Art.1 comma 10 della legge 8/01/2002 n.1 che tutti gli attuali infermieri diplomati possono accedere alla formazione universitaria post-base.
Il percorso formativo è così composto ancora oggi.
Percorso formativo dell’infermiere:
- LAUREA TRIENNALE IN INFERMIERISTICA (3 ANNI);
- Master Iº Livello (1 anno);
- LAUREA MAGISTRALE SCIENZE INFERMIERISTICHE (2 ANNI);
- Master IIº Livello (1 anno);
- DOTTORATO DI RICERCA (3 ANNI).
Per un totale di 10 anni di percorso accademico/universitario.
Un’altra svolta della nostra professione avviene con l’approvazione del Codice deontologico, dapprima approvato dal Comitato centrale della federazione con delibera n. 1/09 del 10/01/2009 e successivamente dal Consiglio nazionale dei Collegi IPASVI riunito a Roma il 17/01/2009.
Tale Codice deontologico fissa le norme dell’agire professionale e definisce i principi guida che strutturano il sistema etico in cui si stabilisce la relazione con la persona/assistito. I termini fissati per stabilire tali interventi assistenziali sono:
- “Specifici” sta per “propri”, ossia interni alla professione in quanto patrimonio esclusivo di peculiari competenze ed esperienze infermieristiche.
- “Autonomi” sta per “di decisione propria” rispetto ad altre figure professionali.
- “Natura intellettuale, tecnico scientifica, gestionale, relazionale ed educativa”.
Anche la RESPONSABILITÀ, collegata all’AUTONOMIA, è intesa come un principio guida per l’agire professionale. L’assunzione di responsabilità pone l’infermiere nella condizione di costante impegno, ovvero quando assiste, quando cura e quando si prende cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo.
Con la legge Gelmini del 30/12/2010, si ha l’equipollenza del titolo accademico dell’infermiere professionale con diploma delle scuole professionali. Ovvero tutti coloro che hanno frequentato la scuola per infermieri professionali degli anni ’90, avendo conseguito dapprima il diploma di scuola media superiore, grazie all’articolo 17 comma 1 e 2, di tale legge, può fregiarsi in tutto e per tutto anche del titolo di dottore, essendo tale qualifica accademica espressamente attribuita dal legislatore. Al contrario l’infermiere professionale, senza diploma di scuola media superiore quinquennale, non può fregiarsi del titolo accademico di dottore.
La legge Lorenzin, 15 Febbraio 2018, per ciò che riguarda la professione infermieristica, segna il passaggio definitivo da Collegio (IPASVI) a Ordine delle professioni Infermieristiche (OPI), divenendo enti sussidiari dello Stato, e non più “ausiliari”.
Il 13 Aprile 2019 viene approvato dal Consiglio Nazionale il nuovo Codice deontologico.
Sostanzialmente, rispetto al vecchio (2009), presenta dei punti di forza, vengono introdotti dei temi nuovi, dall’uso dei social media, alla protezione della persona assistita da comportamenti non leciti dei colleghi, alla valorizzazione della libera professione e del ruolo manageriale dell’infermiere.
Ovviamente permangono delle criticità correlate ad una mancanza di coraggio nell’affrontare temi eticamente scottanti per la professione infermieristica, per non parlare della sudditanza psicologica che molti Ordini ben più radicati da tempo, esercitano nelle scelte che riguardano la vera autonomia infermieristica, come quasi ad ostacolarne il naturale mutamento socio culturale e professionale nell’ambito del S.S.N.
Purtroppo, come se già ciò non bastasse, ci si mettono di mezzo alcuni colleghi della “vecchia guardia” che hanno vissuto in prima persona il cambiamento (quindi chi più di loro dovrebbe sostenerlo) che non vedono di buon occhio tale evoluzione, quindi non accettandola e rimpiangendo il passato, cercano di ostacolarla con affermazioni ahimè ridicole e paradossali, che non riguardano minimamente l’attuale Infermiere e l’infermiere professionale post 1985, bensì altre figure.
Sembra come se avessero paura di assumersi la responsabilità del reparto, e del proprio operato sancite già per legge, nascondendosi dietro al camice medico, come si è fatto per anni, dimenticando che è già da molti anni che non è così.
Tanto vale, visto che abbiamo responsabilità civile e penale (quest’ultima è regolata dagli art. 357 e 358 c.p., dai quali si evince l’attività infermieristica come un’alternanza tra pubblico ufficiale e/o incaricato di pubblico servizio), conviene adeguarsi al cambiamento e divenire Quadri (lo stipendio di un quadro in Italia, è mediamente di 2440€, in questo caso i nostri stipendi verrebbero equiparati al resto dell’Europa), ovvero il ruolo che maggiormente ci spetta ed uscire fuori dal comparto ed averne uno tutto nostro, esattamente come avviene da decenni per i medici! Non ha senso proseguire nella direzione sbagliata, remando contro.
Cito ad esempio la ormai in pensione ex-coordinatrice infermieristica Maria Rosa Termine che rimpiange i tempi che furono, dove asserisce che il rapporto infermiere-paziente può ripartire solo dal giro letti, ovvero lo si ha sostanzialmente con lo svolgimento delle cure igieniche! Ma perché ci si ostina ancora in questo senso, generando guerra tra poveri? Permettetemi di DISSENTIRE, con tutto il massimo rispetto per qualsiasi opinione, ma lo trovo assai imbarazzante.
Questa è una pura demagogia, che tende a soffocare il nostro essere Dottori e il nostro divenire Quadri (in quanto, ancor oggi, inquadrati come impiegati/operai), lasciandoci per sempre in quel limbo dove rivestiamo ruoli di cosiddetti “tutto fare” non essendo, in gergo “né carne, né pesce”!
Il rapporto infermiere-paziente, a mio modo di vedere, si instaura fin dall’ingresso nel PS (in triage) o nella U.O., con l’anamnesi infermieristica, con la rilevazione dei parametri vitali, e tutte le indagini che si svolgono all’ingresso, ovvero l’ECG, e qualora necessario l’emogasanalisi, prelievi, emocolture, posizionamento di CVP, CV, SNG, ecc. Ammettiamo che solo per un attimo avesse ragione la coordinatrice Maria Rosa e di quanti la pensano come lei.
Immaginiamo quindi di poter avallare tale tesi. Ciò che potrebbe verificarsi nell’immediato, grazie alla sua teoria, sarebbe il licenziamento in tronco di tutti gli OSS, in quanto non avrebbero più mission lavorativa, visto che verrebbero tranquillamente sostituiti dagli infermieri tutto fare, non avendo più senso di esistere, in quanto obsoleti!
Non convenite con il mio ragionamento? Lo stesso riguarderebbe per i portantini, gli OTA, gli ausiliari e così via per tutte le molteplici mansioni che l’infermiere deve sostenere e ricoprire ingiustamente e che riguardano tutte le altre maestranze che ruotano nel nosocomio e con le quali condividiamo ancora oggi il comparto! Beh temo che sia una teoria stramba e del tutto IMPROBABILE, fortunatamente per tutti! Detto questo però, non si può tralasciare la Legge 761/69 Conferenza Stato-Regioni del 2001 che VIETA la promiscuità di genere.
Ciò vuol dire che le mansioni igienico-domestico-alberghiere le può fare solo ed esclusivamente l’OSS e nessun altro (chiedendo aiuto ad un altro suo collega OSS, tuttalpiù ad un OTA di pari livello).
Entriamo con ragionamento nel dettaglio, almeno proviamoci! Se la legge e le relative molteplici sentenze, proibiscono all’infermiere di svolgere le mansioni igienico-domestico-alberghiere, di fatto lasciandole svolgere ai soli OSS e a nessun altro, perché ostinarsi a far sì che l’infermiere debba per forza fare l’igiene o aiutandolo o eseguendolo direttamente, infrangendo la legge appena citata, se non gli riguarda, come allo stesso modo non riguarda il medico? Rammento la legge 29/10/1954, n. 1049 (di cui sopra), che riconosce la professione infermieristica come INTELLETTUALE.
Ho una domanda da porre a voi tutti, cosa c’è di intellettuale nello svolgere una funzione meramente MANUALE, per giunta proibita a coloro che sono di livello superiore, come riporta la sentenza del tribunale di Roma. Essa difatti asserisce: l’infermiere che venga adibito prevalentemente allo svolgimento di mansioni non rientranti nel proprio inquadramento professionale, e che si ritrovi per lunghi periodi (a volte anni) a svolgere compiti propri del personale inferiore con inquadramento non infermieristico, con evidente nocumento alla propria immagine professionale, ha diritto ad essere risarcito!
Ma caliamoci per un attimo nei panni del paziente con empatia, vi fareste “toccare” da qualcuno che vi ha appena eseguito l’igiene, per eseguire una qualsiasi manovra infermieristica, ad esempio invasiva? Magari quelle che si svolgono di routine all’ingresso del paziente e/o durante tutta la degenza?
La risposta dei soggetti vigili ed orientati, nel 99% dei casi è NO! Difatti, appena terminato l’igiene del paziente, esso stesso richiede espressamente l’aiuto di sanitari laureati/dottori, per eseguire tali manovre, non sapendo di fatto che, chi ha difronte è proprio colui, ovvero IL SOLO, che dovrà eseguire tali procedure, rimanendo sbigottiti e meravigliati quando lo apprendono!
Ciò sta a significare che la nostra professione e professionalità è minata da tale consuetudine, recando un danno d’immagine non indifferente!
Quindi la domanda che pongo è la seguente: obiettivamente possiamo realmente crescere professionalmente, se continuiamo a ricoprire più ruoli meramente manuali e che per i quali non è necessaria una laurea? Chi di noi è al di sopra della legge per permettere che tutto ciò accada sistematicamente? Ribadisco con forza che NESSUNO È AL DI SOPRA DELLA LEGGE!
Per concludere non sarebbe più giusto far eseguire ad ogni figura nosocomiale la propria mansione senza se e senza ma? Come? Innanzitutto, aumentando il personale (forse un’utopia) poi invitando tutti i lavoratori a prendere realmente visione STUDIANDO bene i propri PROFILI PROFESSIONALI, in modo da non confondere il proprio ruolo sia accidentalmente che intenzionalmente.
Successivamente informando tutti gli utenti/pazienti che si hanno di fronte, chi si è realmente e il ruolo che si riveste, sia verbalmente ma anche aiutati da appositi cartellini che evidenzino i dottori (infermieri), da coloro che non lo sono, come avviene con i medici che hanno cartellini con su scritto “Dirigente medico”, anche perché i colori della divisa sono differenti da un nosocomio all’altro e creano confusione, soprattutto in quei pazienti che subiscono più ricoveri in più ospedali diversi.
Ma la cosa forse più dura da accettare è il riconoscersi per la propria professione intrapresa con umiltà senza spacciarsi per uno o per l’altra figura professionale, ma essere chiari ed onesti per primo con se stessi e in seguito con chi hanno di fronte, accettando con onore e professionalità la scelta intrapresa del proprio ruolo.
Solo a questo punto non ci sarebbero più litigi, dissensi, polemiche o gelosie di varia natura, ognuno svolgerebbe i propri compiti per cui viene pagato, secondo la legge ed il proprio contratto!
Massimiliano Gentili, Infermiere
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